venerdì 8 aprile 2011

Cui prodest? Atto secondo

Boccassini - Ghedini - Bruti Liberati
In seguito alle precisazioni di Edmondo Bruti Liberati, rese ieri a margine della prima udienza del cosiddetto Rubygate, voglio rendere più esplicito il mio pensiero su quanto ho scritto in precedenza (vedi il mio post "Cui prodest?").
In sostanza, ho sottolineato come, nell'analizzare gli avvenimenti della vita pubblica e i comportamenti dei suoi protagonisti, fatti apparentemente scellerati e deplorevoli come, ad esempio, la pubblicazione delle tre telefonate tra Berlusconi, Minetti, Polanco e Skorkina debbano essere intepretati e capiti, in maniera del tutto lucida ed obiettiva, sulla base dell'effetto reale che detti fatti provocano.
L'unico effetto reale, obiettivo, palese che è stato ottenuto è stato il sollevamento del solito "polverone", l'ennesimo attacco alla Procura, al suo operato ed alla sua credibilità. Mi pare chiaro ed evidente che la stessa Procura non avrebbe avuto alcun motivo per fare questo gioco. In questo processo, che è stato definito "mediatico", mi sembra che le uniche persone che non partecipano a dibattiti, che non rilasciano dichiarazioni, che non esprimono opinioni, che non appaiono in televisione, che non fanno comizi e raduni di piazza, siano proprio i membri della Procura milanese che si stanno occupando del caso Ruby.
Il capo della Procura di Milano Bruti Liberati ha affermato che il deposito delle intercettazioni alla difesa è stato un atto rigorosamente dovuto, a garanzia del diritto di difesa. Dal botta e risposta di ieri tra Bruti Liberati e l'avvocato del premier Ghedini, si evince che solo la Procura di Milano e la difesa di Berlusconi erano a conoscenza delle intercettazioni, la prima perchè le aveva effettuate e trascritte, la seconda perchè le erano state trasmesse dalla prima, affinchè potessero essere eventualmente utilizzate dalla stessa difesa nel dibattimento. Quindi, appurato che la Procura non avrebbe tratto alcun giovamento dalla diramazione di tali informazioni, e considerato l'effetto che la pubblicazione di tali intercettazioni ha provocato, e cioè l'imbarazzo iniziale della stessa Procura e la stigmatizzazione trasversale, sia a destra che a sinistra, di questa "fuga di notizie", ripropongo il mio interrogativo: cui prodest? A chi giova? E rispondo: tutto ciò giova solo al premier, che così può avvalorare la tesi dell'accanimento giudiziario nei suoi confronti e del processo mediatico.
Alessandro Sallusti, che, per chi non lo sapesse, è l'attuale direttore de "Il Giornale", notoriamente di proprietà della famiglia Berlusconi, ha addirittura indicato in Ilda Boccassini la persona che avrebbe commesso il "reato" di aver trasmesso le intercettazioni ai giornali (vedi il suo editoriale, in cui sostiene, e in questo sono d'accordo con lui, che nelle intercettazioni non si ravvisa nulla di penalmente rilevante - dunque, mi chiedo: a che pro la "terribile macchina mediatica" anti-Berlusconi avrebbe dovuto far pubblicare le telefonate? - ). In realtà, semplicemente, non è stato commesso nessun reato: una volta trasmesse agli atti, tutte le informazioni diventano pubbliche, e quindi possono essere anche riportate dai giornali. Tuttavia, il Csm, invitato dalla stessa Procura di Milano, accerterà se sia stato commesso o meno un illecito, mentre gli avvocati difensori di Berlusconi stanno studiando eventuali azioni legali. Staremo a vedere se effettivamente ci sono gli estremi per "farla pagare" alla Boccassini, oppure se si risolverà tutto nella consueta bolla di sapone.
Ho accennato alla famigerata Struttura Delta. Potrei usare anche l'espressione "macchina del fango", tutti colpevoli, nessun colpevole: basti citare il presunto scandalo del bacio tra la Boccassini e un giornalista di Lotta Continua, episodio di ben 30 anni fa, giudicato peraltro irrilevante, all'epoca, dal Csm, e recuperato dal "Giornale" a fine gennaio di quest'anno per tentare di screditare il magistrato milanese. Purtroppo, a questo mira la Struttura Delta. A confondere e annebbiare l'opinione pubblica, ad uniformare comportamenti e persone, a distogliere l'attenzione dai fatti, nudi e crudi. Questo è il  "polverone" che soffoca tutto e tutti, evocato da Dario Fo nel corso della trasmissione di Ilaria D'Amico "Exit" di ieri sera in onda su La7. Il processo mediatico serve solo a Berlusconi, che nei media, si sa, ci sguazza a meraviglia.

mercoledì 6 aprile 2011

Videocronache da Palazzo di Giustizia


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Cui prodest?

Cui prodest? A chi giova? Se analizziamo lucidamente il contenuto delle tre telefonate reso noto dal "Corriere Della Sera", in fondo possiamo concludere che esso non rappresenta qualcosa di particolarmente infamante, o comunque di moralmente o giuridicamente compromettente, o più precisamente peggiorativo, se confrontato con i testi di altre intercettazioni pubblicate in precedenza, anche se in tali registrazioni non era coivolto direttamente il premier. Lo scambio di carinerie tra Berlusconi e le sue interlocutrici non rappresenta nient'altro che quello che è, uno scambio di carinerie, e quindi non dimostra nulla. È perfettamente legittimo che il Cavaliere riconosca l'importanza che i testimoni asseriscano che Ruby avesse fornito delle generalità false (in fondo, come afferma lui stesso in conclusione di telefonata, "noi non abbiamo fatto niente di male..."). È pure abbastanza comprensibile, a mio parere, che un'altra signorina, Barbara Faggioli, potesse essere convocata dalla segretaria del Cavaliere per "cercare di costruire e verbalizzare le normalità delle serate del presidente Berlusconi...". Per non parlare della telefonata tra il premier e Marysthelle Polanco, in cui si accenna ad una "raccomandazione" di Berlusconi in favore della ragazza.
D'altro canto, la scelta della Procura di Milano è sempre stata quella di non far uso delle intercettazioni in cui la voce di Berlusconi fosse stata registrata mentre erano sotto controllo le telefonate di Nicole Minetti, di Fede, e delle altre persone coivolte; tra l'altro, la legge prevede che non si possano trascrivere le registrazioni di colloqui telefonici di un parlamentare, se non dopo aver richiesto ed ottenuto l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Nelle migliaia di pagine che costituiscono gli atti della Procura di Milano relativi al caso Ruby, innumerevoli omissis sono stati introdotti laddove erano direttamente coivolti interlocutori parlamentari (la dicitura è "Conversazione con parlamentare, non utilizzabile"). Com'è allora possibile che queste tre telefonate, obbligatoriamente da depositare in audio alla difesa, siano state mantenute negli atti, e non destinate alla distruzione?
E quindi torniamo all'interrogativo iniziale: cui prodest? Seneca fa dire a Medea nella tragedia omonima: "cui prodest scelus, is fecit", cioè "colui al quale il crimine porta vantaggi, egli l'ha compiuto". Qual è la parte che, alla luce della pubblicazione di queste telefonate, ne ha tratto maggior vantaggio? La Procura di Milano aveva interesse a tutto, fuorchè alla fuoriuscita delle intercettazioni, che, in ultima analisi, ne avrebbero danneggiato l'immagine (le cosiddette "toghe rosse" si sarebbero esposte a troppo facili critiche...). Si è ottenuto invece proprio questo. Probabilmente, tra le migliaia di omissis da inserire negli atti, dei quali la Difesa deve essere a conoscenza, quelli relativi alle tre telefonate in questione sono sfuggiti alla Procura; probabilmente una disattenzione, un errore umano. Ora si può ancora una volta gridare alla "persecuzione" da parte dei giudici nei confronti del premier. Le intercettazioni non sono legittime, la Procura non è al di sopra di ogni sospetto, la sinistra, la stampa, e gli oppositori di Berlusconi sono dei bigotti moralisti, e altre storie del genere. La Struttura Delta (cercatela su Google) ha colpito ancora...

giovedì 17 marzo 2011

Io non mi sento un politico (ma per fortuna o purtroppo lo sono)

Il nostro premier ha recentemente benedetto il disegno di legge per la riforma della Giustizia, commentando che con questa riforma non sarebbe stata possibile l'inchiesta su Tangentopoli. Bene (o male, a seconda), ma, stando a quanto lui dichiarava nel '94 al tempo della sua discesa in campo, la sua entrata in politica fu dettata dal vuoto politico che si era venuto a creare dopo che era stata spazzata via un'intera classe dirigente corrotta e incapace. Insomma: "Abbasso Tangentopoli" o "Viva Tangentopoli"?
Come affermava Giuliano Ferrara ieri sera a "Qui Radio Londra" (vedi post precedente), Berlusconi non ha chiesto di fare il premier. Lui è un uomo privato. È il primo uomo privato al mondo e nella storia ad essersi ritrovato Presidente del Consiglio. Lui non è "disceso" in campo, è stato "calato" in campo, se così possiamo dire, da quella Tangentopoli che grazie ad un disegno di legge sfornato dal suo governo non sarebbe mai esistita. Sono confuso, sono molto confuso...

33 ragazze (ma una sola anima gemella...)

Qui sotto, il video di "Qui Radio Londra" di Giuliano Ferrara di mercoledì 16 marzo 2011:


Mi permetto di osservare, da fotografo abbastanza esperto, e senza tema di smentite, che le foto cui fa riferimento con cotanto candore Giuliano Ferrara nel suo terzo "Radio Londra" non possono essere altro che delle immagini rubate, nonostante le sue affermazioni. O forse che l'inquadratura dall'alto, l'uso di un teleobiettivo spinto, la sgranatura e, in generale, la cattiva qualità delle stesse possano essere imputabili a competenze tecniche inadeguate e scarso talento artistico del fotografo? Pare però strano che un imprenditore e uomo di televisione, nonchè amante del bello (specialmente del bello femmineo) autorizzi un sì sciagurato fotografo a rappresentare sè stesso e alcune sue care amiche in siffatta maniera. D'altronde, è pur sempre vero che il manuale del buon puttaniere recita che i giri di prostituzione non si organizzano in questo modo, così, alla luce del sole. Se lo dice Ferrara...

P.S. per un approfondimento sulla "discesa in campo", l'ingresso in politica di Berlusconi del '94, leggete qui.

Il Giudice è uguale per tutti (o era la Legge?)

Inauguro questo blog rispondendo a Marcello Veneziani che, nella sua rubrica "Cucù" sulla prima pagina de "Il Giornale" di giovedì 10 marzo, scrive:
«Lui [il magistrato] stabilisce i confini della vita e della morte, occupandosi di bioetica ed eutanasia. Lui decide la sorte di famiglie, minori, adozioni. Lui stabilisce quali reati perseguire e quali far marcire negli anni. Lui decreta se il politicamente scorretto è perseguibile a norma di legge oppure no, giudizi storici inclusi. Lui impone se devi cedere o no la casa di tua proprietà e i tuoi leciti guadagni alla tua ex moglie, e decide se tutelare i tuoi diritti elementari o se adottare una giustizia compensativa e distributiva, fondata sul principio egualitario che devi dare per la sola ragione che guadagni di più. Lui entra nella vita privata e decide quando la sessualità è reato e quando invece è libera privacy. Lui decide i palinsesti, reintegra i giornalisti, indica cosa devono fare e di fatto decide la linea editoriale dei tg. Lui può forzare e reinterpretare le leggi e di fatto modificarle attraverso le sentenze. Lui può rovesciare i verdetti della volontà popolare. Lui è il Supplente di Dio e può intercettare e sputtanare anche la vita più intima. Lui non paga se sbaglia.»
Avrei molte osservazioni da fare. Le posso riassumere in un'unica frase: tutto ciò che viene imputato dall'illustre giornalista-filosofo al giudice in realtà è compito della Legge. La funzione del giudice è quella di giudicare i trasgressori della Legge e applicare le pene previste per essi dalla Legge. Se un qualsiasi cittadino, sia egli un semplice commesso di un supermercato o il Presidente del Consiglio, è sospettato di aver commesso un reato, cioè di aver infranto una o più leggi, il giudice, sulla base di prove evidenti, o della loro mancanza, stabilisce se egli è colpevole o meno, e l'entità dell'eventuale pena, basandosi sempre però sulla Legge. Quindi, il giudice si muove sempre nell'ambito della Legge, interpretandola per applicarla ai vari casi concreti cui fa riferimento. Per far questo, esiste tutta una dottrina specifica, molto complessa e articolata. Dunque, senza scomodare Montesquieu e il suo De l'esprit des lois, in cui egli teorizza la separazione dei poteri e getta le basi del moderno stato di diritto, possiamo riassumere la faccenda nel modo seguente: il legislatore (leggi: il Parlamento, almeno dovrebbe essere così), propone e approva le leggi, in rappresentanza del popolo; il giudice ha il compito di punire i trasgressori delle leggi. È la Legge che stabilisce che la sessualità, in alcuni casi (leggi: prostituzione minorile), è reato, non il giudice. È la Legge che stabilisce che la concussione è un reato ancora più grave, non il giudice (a chi volesse approfondire le ipotesi di reato per il premier consiglio questo link). Ma perchè Veneziani, che scrive su un quotidiano notoriamente schierato, per usare un eufemismo, dalla parte del premier, ce l'ha tanto con i giudici? Lascio a voi la risposta.